Ci sono Presìdi Slow Food che tutelano varietà vegetali, ce ne sono altri che proteggono razze animali, e ve ne sono anche alcuni che valorizzano tecniche artigianali e produzioni particolari: quello che presentiamo oggi racchiude in sé un po’ tutte queste caratteristiche. Parliamo della lumachella orvietana, prodotto da forno che rappresenta un vero e proprio simbolo gastronomico della città umbra. Proprio in virtù della sua notorietà e diffusione, la lumachella non è un prodotto a rischio d’estinzione, come lo sono invece molti altri Presìdi Slow Food: «C’era però bisogno di ristabilire l’autenticità del prodotto e di mettere la lumachella al sicuro dal rischio di standardizzazione, effetto anche dei flussi turistici in crescita nella città» spiega Alessandra Cannistrà, referente Slow Food del Presidio. Per questo motivo, il Presidio si è prefissato l’obiettivo di individuare la materia prima originale e di definire la ricetta della tradizione.
Ripartire dalla farina
Quella della lumachella orvietana è la più classica delle storie della cucina contadina del secolo scorso, quella che faceva della lotta allo spreco non soltanto una doverosa battaglia di intelligenza, ma una necessità a tutti gli effetti. La lumachella, infatti, un tempo si produceva nei giorni in cui si cuoceva il pane, usando l’impasto che avanzava e ciò che si trovava in casa: pancetta, guanciale, ritagli di scarto del prosciutto crudo, e poi pecorino, sale, pepe, un po’ di olio extravergine di oliva e un po’ di strutto. Il tutto veniva impastato fino a ottenere piccoli rotoli che successivamente venivano avvolti su sé stessi, fino a ottenere una pagnotta di circa 7-10 centimetri di diametro a forma chiocciola. Ingredienti di recupero, per un prodotto che i contadini erano soliti mettere in tasca e mangiare in una pausa dal lavoro nei campi.
Oggi le cose sono cambiate, e la lumachella è una presenza irrinunciabile sui tavoli degli aperitivi. Lo racconta anche Francesco Notazio, uno dei produttori che aderiscono al Presidio: «Io ho iniziato a lavorare nell’attività di famiglia dal 2001 – dice – e uno dei miei primi compiti nel laboratorio fu proprio quello di impastare la lumachella. Da quel che ricordo, ha sempre fatto parte del nostro accompagnamento all’aperitivo in tutte le declinazioni possibili, ripiena a tocchettini e persino fritta». Ma mentre la produzione e il consumo della lumachella si diffondevano, l’attenzione alle materie prime calava: «Si sono cominciate a usare farine generiche e ingredienti slegati dal territorio – spiega Cannistrà –. Il Presidio Slow Food nasce da questa riflessione e dalla volontà di tornare fedeli alla tradizione: oggi i produttori del Presidio utilizzano varietà di grani utilizzate già un tempo, come il Gentil Rosso, il Verna, il Senatore Cappelli. Per arrivare a questo punto, c’è stato un percorso collettivo di apprendimento, perché parliamo di farine che reagiscono in maniera diversa rispetto a quelle industriali: abbiamo dovuto fare prove, tentativi ed esperimenti per mettere a punto i dosaggi corretti».
«Diventare Presidio Slow Food è motivo di grande orgoglio, soprattutto perché per arrivare a questo risultato abbiamo fatto un bellissimo percorso alla ricerca della lumachella di un tempo, che ci ha visti uniti come comunità e impegnati su lievito madre e grani antichi» conferma Notazio. Non solo: anche i fornitori dei formaggi di pecora e dei salumi sono stati accuratamente selezionati.
Andare oltre a ciò che si dà per scontato
Essere Presidio Slow Food, aggiunge Vittorio Tarparelli, referente dei produttori che aderiscono al Presidio – che oggi sono due forni, un’azienda agricola con locanda e otto tra locali, bar e ristoranti – significa anche «dare una mano ai produttori locali, soprattutto giovani, che da qualche anno hanno ripreso a coltivare grani antichi». Nella zona di Orvieto e dintorni, conclude, «la lumachella è il cibo familiare per eccellenza e ha anche una lunga storia, poiché la più antica testimonianza scritta che ho trovato risale a un secolo fa. Curiosamente, però, appena qualche chilometro più in là, la lumachella non la si trova più: è davvero un simbolo culturale, quasi etnico. In questo percorso che ci ha portato al Presidio Slow Food, produttori, forni e ristoranti hanno cominciato a prendere coscienza della sua storia, interrogandosi sull’origine dei prodotti e riconsiderando abitudini e gesti ormai ripetitivi e automatizzati: quando un prodotto diventa noto e scontato, smette di parlare. La lumachella, invece, deve tornare a parlare, a essere narrante, ricca cioè di significati».
Il Presidio Slow Food della lumachella orvietana è sostenuto dal Comune di Orvieto e dal GAL Trasimeno-Orvietano.